L’evoluzione del Lavoro Agile
Le sfide socio-economiche del nostro tempo, tra cui dal punto di vista del lavoratore, la necessità di raggiungere una work-life balance ottimale e, dal punto di vista delle aziende, l’esigenza di contenere i costi gestionali e razionalizzare gli spazi, possono essere affrontate attraverso forme flessibili di svolgimento della prestazione lavorativa.
Tra queste riveste particolare importanza lo smart working (detto anche “lavoro agile”): una modalità di svolgimento della prestazione lavorativa (e non una tipologia contrattuale) che spesso viene confusa col telelavoro.
È solo il caso di accennare che l’istituto del telelavoro è stato introdotto in Italia – limitatamente al contesto del pubblico impiego – già nel 1998, dalla Legge c.d. Bassanini, mentre non è normato nel settore privato, se non da un Accordo Interconfederale stipulato nel 2004 (in recepimento dell’Accordo-quadro europeo sul telelavoro del 16 luglio 2002) e dalla contrattazione collettiva di settore.
Di più recente introduzione invece è il c.d. lavoro agile, regolamentato della legge 81/2017 (artt. 18 – 24), che consiste in una particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato in parte in sede e in parte fuori dall’azienda, stabilita grazie ad un accordo scritto concluso direttamente tra le parti, senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro.
Dalla suddetta definizione emerge la più importante differenza tra telelavoro e lavoro agile: mentre il primo rappresenta, di fatto, un semplice spostamento del luogo di prestazione dalla sede aziendale ad altra sede fissa con i medesimi vincoli di orario che il lavoratore avrebbe in azienda, il secondo consente al lavoratore di svolgere le mansioni oggetto del contratto lavorativo con piena libertà di:
- luogo, che potrà variare di giorno in giorno e senza necessità di comunicazione;
- orario, in quanto gli unici vincoli previsti sono quelli di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
Questa modalità di svolgimento della prestazione lavorativa si avvicina alla ratio sottesa alla tendenza in crescita di BYOD (bring your own device), diffusosi a partire dal 2009 in aziende altamente informatizzate come Intel.
Viste le peculiarità dello smart working, questo soggiace ad una disciplina ad hoc per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro.
Quest’ultima determina per:
- il datore di lavoro l’obbligo di consegnare al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e quelli specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto;
- il lavoratore l’obbligo di cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione in smart working.
Il lavoratore ha inoltre diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro occorsi durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello prescelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa, quando la scelta del luogo della prestazione sia dettata da esigenze connesse alla prestazione stessa o dalla necessità del lavoratore di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative e risponda a criteri di ragionevolezza.
Fermo quanto sopra esposto, occorre sottolineare l’importanza dell’accordo tra le parti come strumento in grado di massimizzare la flessibilità data dallo smart working minimizzando i rischi ad esso connessi.
di Emiliana Maria Dal Bon – consulente del lavoro