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21 Settembre 2021 | Approfondimenti tecnici

Le differenze tra l’appalto e la somministrazione di manodopera

Negli ultimi anni l’Ispettorato nazionale del lavoro ha rilevato un sempre maggior uso del decentramento produttivo, con la connessa dissociazione tra titolarità del contratto di lavoro e utilizzazione della prestazione.

L’uso di questo decentramento, a volte, è dovuto al solo fine di ridurre il costo del lavoro e non sempre si realizza attraverso una corretta tipologia contrattuale per la gestione dei lavoratori.

Proprio in virtù di questa situazione border line, l’ispettorato, all’interno della programmazione annuale dell’attività di vigilanza, ha sottolineato, ai propri ispettori, una particolare attenzione all’utilizzo degli strumenti della somministrazione e dell’appalto, al fine di verificarne il rispetto entro le linee guida normativamente stabilite dal legislatore per i corretti ambiti di competenza.

In particolare, l’organo di vigilanza ha stabilito che per la verifica di ciò, “l’azione ispettiva sarà mirata al contrasto dei fenomeni di dumping sociale e contrattuale e si concretizza in verifiche sulla genuinità delle fattispecie di decentramento produttivo, attraverso un’approfondita analisi dei fenomeni che caratterizzano le esternalizzazioni, tra i quali le filiere di appalti e subappalti di opere e di servizi, la somministrazione di lavoro, la cooperazione spuria, i contratti di rete e i distacchi posti in essere dalle imprese italiane o di altri Paesi membri dell’Unione Europea.”

Proprio in considerazione di questa attenzione, da parte degli ispettori del lavoro, è il caso di evidenziare gli indici sintomatici della non genuinità di un affidamento formalmente qualificato come “appalto”, ma che in realtà dissimula una somministrazione di personale. Per farlo, mi aiuterò con alcuni riferimenti di prassi amministrativa e giurisprudenziali che hanno mostrato la strada da seguire per la corretta gestione degli strumenti di flessibilità da attenzionare.

La distinzione primaria tra le due figure contrattuali (“contratto di appalto” e “somministrazione di manodopera”), sta nel fatto che la prima (“contratto di appalto”) ha ad oggetto un’obbligazione di risultato, con cui l’appaltatore assume, con una propria organizzazione, il compito di far conseguire al committente il risultato promesso, mentre la seconda (“somministrazione di lavoro”) sottende una tipica obbligazione di mezzi, attraverso la quale l’Agenzia per il Lavoro si limita a fornire prestazioni lavorative organizzate e finalizzate dal committente. Ragion per cui, qualora l’oggetto esclusivo della procedura è la mera prestazione lavorativa, non possiamo parlare di prestazione di servizi ma di sola somministrazione di personale.

Il Consiglio di Stato, in una interessante sentenza (n. 1571/2018, pubblicata il 12 marzo 2018), ha evidenziato gli indici sintomatici per ricondurre un appalto a mera somministrazione di personale:

  • richiesta da parte del committente di un certo numero di ore di lavoro;
  • inserimento stabile del personale dell’appaltatore nel ciclo produttivo del committente;
  • mancata identità dell’attività svolta dal personale dell’appaltatore rispetto a quella svolta dai dipendenti del committente;
  • proprietà, in capo al committente, delle attrezzature necessarie per l’espletamento delle attività;
  • organizzazione, da parte del committente, delle attività dei dipendenti dell’appaltatore.

Si tratta, in parole povere, di indici attestanti il carattere fittizio dell’appalto.

Tali principi vanno evidenziati, con particolare attenzione, soprattutto nel caso di appalto endo-aziendale, caratterizzato dall’affidamento ad un appaltatore esterno di attività strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente.

La Corte di Cassazione, da parte sua, è unanime nel ritenere che la differenza fondamentale tra contratto di somministrazione di manodopera ed appalto di servizi vada ricercata nella sussistenza o meno di organizzazione autonoma e nel rischio d’impresa (vedasi Cass. 12357/14 e 7070/13).

Riprendendo proprio queste indicazioni giurisprudenziali, vediamo alcuni aspetti per valutare la genuinità, o meno, dell’appalto.

 

Ambito delle attività

Laddove le prestazioni appaltate siano pienamente integrate nel ciclo di produzione degli uffici aziendali e presentano un contenuto omogeneo a quello delle attività svolte dal personale stabilmente inserito nella pianta organica della società committente, ci possiamo trovare di fronte ad una mancanza di autenticità dell’appalto.

Infatti, le attività appaltate devono essere qualificabili come una autonoma attività imprenditoriale. All’interno del contratto di appalto deve essere evidenziato, da parte dell’impresa appaltatrice, un progetto tecnico in cui devono essere esplicitate le modalità organizzative di svolgimento del servizio, alla luce delle esigenze definite ex ante dalla stazione appaltante nella lex specialis.

 

Strumenti

Laddove manchi la messa a disposizione dell’appaltatore dei mezzi e delle attrezzature per la fornitura del “servizio” richiesto dal committente non possiamo parlare di appalto di servizi.

L’organizzazione di mezzi va valutata in relazione alle esigenze dell’opera/servizio dedotti in contratto. È legittimo l’appalto nel quale l’apporto di attrezzature e di capitale risulti marginale rispetto a quello delle prestazioni di lavoro. L’importante è l’esercizio continuo ed esclusivo del potere direttivo ed organizzativo sul personale impiegato. (Ministero del Lavoro, circolare n. 5/2011).

 

Rischio di impresa

Deve essere presente e valutabile, nel contratto di appalto, la presenza del rischio di impresa in capo alla ditta appaltatrice. Questi possono essere i punti caratteristici per valutarne la presenza:

  • presenza di investimenti a carico dell’appaltatore, il quale si fa carico dei costi per l’acquisto e l’organizzazione dei mezzi strumentali alla esecuzione della prestazione richiesta;
  • dimostrazione di un apporto di capitale (diverso da quello impiegato in retribuzioni e, in genere, per sostenere il costo del lavoro), ovvero di know-how e beni immateriali in concreto forniti dall’appaltatore, aventi rilievo preminente nell’economia dell’appalto;
  • nel contratto di appalto va evidenziato che il compenso richiesto attiene al servizio offerto e non alle ore di lavoro prestate. Ciò per confermare una forma di rischio legato all’elemento organizzativo del servizio offerto.
  • presenza di una copertura assicurativa a tutela degli infortuni subìti dai dipendenti.

 

Competenze

Un altro elemento determinante per valutare il discrimine tra un appalto genuino e una somministrazione di personale è la mancanza, da parte del personale della ditta appaltatrice, di un know-how specifico, ovvero di un patrimonio di conoscenze e di pratiche di uso non comune, quindi di un quid pluris rispetto alla mera capacità professionale dei lavoratori già impiegati presso la società committente, tale da far emergere un apporto qualitativo specifico riconducibile all’appalto di servizio.

 

Potere direttivo

L’appalto genuino passa anche per la gestione dei lavoratori in capo all’appaltatore. I lavoratori impiegati nell’appalto devono seguire gli ordini impartiti dall’appaltatore. Le direttive, dunque, non dovranno essere emanate dal committente ché non dovrà ingerirsi nell’operato dei responsabili organizzativi dell’appaltatore.

Proprio il criterio dell’effettivo esercizio del potere di organizzazione e di direzione, da parte dell’appaltatore o del committente, assume valore decisivo al fine di valutare la genuinità o meno dell’appalto (vedi Cassazione n. 7796 del 27 marzo 2017).

 

Calcolo del compenso

Per ritenersi appalto lecito, uno degli elementi da evidenziare attiene alle prestazioni richieste dalla committente da identificare come “servizi” e non come numero di ore di lavoro annue, indicazione poco confacente con una richiesta di meri servigi.

Questo dato dimostra che la committente mira sostanzialmente ad integrare il proprio personale interno, in modo da garantire il regolare svolgimento delle proprie attività. In pratica, una mera ricerca di lavoratori da utilizzare per i generici scopi del committente, in chiave d’integrazione del personale già presente in organico. In definitiva, l’appaltatore non svolge alcun servizio “diverso” da una mera attività di ausilio collaborativo al personale dipendente dell’azienda committente.

 

Ultima indicazione riguarda la possibilità di utilizzare, da parte dell’azienda appaltatrice, anche personale in somministrazione. Lo stesso Ministero del Lavoro, nella circolare n. 7 del 22 febbraio 2005, evidenzia come “l’attribuzione del potere direttivo e di controllo all’utilizzatore e l’ulteriore precisazione che durante la somministrazione il lavoratore esegue la prestazione nell’interesse dell’utilizzatore comporta che il lavoratore in somministrazione possa svolgere la propria prestazione per la realizzazione di un contratto di appalto.”

Autore: Dott. Roberto Camera