Il trattamento di fine rapporto: gli ultimi chiarimenti forniti dall’INPS
Il trattamento di fine rapporto (TFR), disciplinato dall’articolo 2120 c.c., costituisce una forma di retribuzione differita riconosciuta a tutti i lavoratori dipendenti, compresi quelli in prova, e non assoggettata a contributi previdenziali.
Le somme maturate a tale titolo sono frutto dell’accantonamento annuale di quote di retribuzione periodicamente rivalutate e, infine, corrisposte al lavoratore generalmente alla cessazione del rapporto di lavoro.
Più precisamente, salvo diversa previsione dei contratti collettivi, la base di calcolo per l’accantonamento annuo del TFR è costituita da tutte le somme dovute in dipendenza del rapporto di lavoro a titolo non occasionale, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura corrisposte o dovute in dipendenza del rapporto di lavoro, con esclusione di quanto corrisposto a titolo di rimborso spese.
In caso di sospensione della prestazione di lavoro a causa di malattia, infortunio, gravidanza, puerperio o per sospensione totale o parziale dell’attività per la quale sia riconosciuta l’integrazione salariale, bisogna comunque prendere a riferimento, per il calcolo del TFR, l’equivalente della retribuzione cui il lavoratore avrebbe diritto in caso di normale svolgimento del rapporto di lavoro.
Il calcolo del TFR si effettua sommando tutte le quote di accantonamento – pari alla retribuzione annua lorda (RAL) divisa per 13,5 – e poi scomputando lo 0,5% della RAL stessa, a titolo di trattenuta per il Fondo Adeguamento Pensioni ai sensi dalla Legge n. 297/1982, limitatamente ai rapporti di lavoro soggetti a tale contributo.
La quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni.
Quanto accantonato al 31 dicembre dell’anno precedente alla cessazione del rapporto deve essere rivalutato mediante applicazione del coefficiente di rivalutazione di volta in volta aggiornato (nel mese di luglio 2023, pari a 1,192259%). La rivalutazione non rientra nell’imponibile fiscale soggetto a tassazione separata ma è soggetta ad una imposta sostitutiva.
Tale importo, costituente il TFR lordo, viene poi corrisposto al dipendente al netto della tassazione applicata.
Al momento dell’assunzione il datore di lavoro è tenuto ad informare adeguatamente il dipendente circa le seguenti due alternative: il dipendente può scegliere di accantonare il TFR in azienda (scelta sempre revocabile) oppure di destinare il TFR alla previdenza complementare (scelta irrevocabile).
Entro sei mesi dall’assunzione, il lavoratore dovrà esprimere la propria preferenza mediante compilazione del modello c.d. “TFR2” e, in caso di mancata comunicazione della decisione da parte del dipendente, il TFR sarà devoluto al fondo pensione previsto dal CCNL o, in presenza di più fondi, al fondo a cui è iscritto il maggior numero di dipendenti. Se non è previsto un fondo pensione di riferimento, il TFR viene versato alla forma pensionistica complementare istituita presso l’INPS.
Tuttavia, se nel corso di una precedente occupazione il lavoratore aveva già espresso la volontà di destinare il TFR alla previdenza complementare, potrà solamente scegliere di conferire il TFR ad una diversa forma previdenziale ma non potrà più domandare l’accantonamento in azienda.
A norma dell’articolo 2120 c.c., il dipendente che abbia maturato almeno otto anni di anzianità di servizio presso il medesimo datore di lavoro ed abbia scelto di accantonare il TFR presso l’azienda ha diritto di chiedere, una sola volta nel corso del rapporto, un’anticipazione nei limiti del 70% di quanto già maturato in suo favore a titolo di TFR accantonato, per una delle seguenti ragioni:
- acquisto della prima casa per sé o per i propri figli;
- necessità di sostenere spese sanitarie per terapie ed interventi straordinari;
- necessità di sostenere le spese durante i periodi di fruizione di specifici congedi parentali o per formazione.
L’azienda è tenuta ad accogliere le domande di anticipazione del TFR nel limite annuo del 10% dei lavoratori aventi diritto e comunque del 4% del numero totale dei dipendenti.
Salvo i contratti collettivi stabiliscano diversi criteri di priorità, le richieste devono essere soddisfatte secondo l’ordine cronologico di presentazione.
Qualora il lavoratore, con intento fraudolento, destini le somme anticipate per scopi diversi rispetto a quelli indicati dalla legge, sarà tenuto a restituire l’intera somma al datore di lavoro e a rispondere dei danni eventualmente cagionati a quest’ultimo o ad altri dipendenti.
Ove, invece, l’ammontare delle spese sostenute e documentate sia inferiore rispetto al valore complessivo dell’anticipazione ottenuta, il lavoratore non dovrà restituire la differenza non utilizzata.
Infine, si segnala che in data 26 luglio 2023 l’INPS ha emanato la circolare n. 70 con riferimento all’intervento del Fondo di garanzia del TFR e dei crediti di lavoro (ultime tre mensilità) a seguito della entrata in vigore della normativa di recente introduzione in materia di gestione della crisi di impresa (c.d. “Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza”, D.Lgs. n. 14 del 12 gennaio 2019).
Tale Fondo è stato istituito con l’intento di garantire ai lavoratori subordinati una tutela minima in caso di insolvenza del datore di lavoro (vedasi L. n. 297/1982, D.Lgs. n. 80/1992 e D.Lgs. n. 186/2005, in ossequio alle direttive 1980/987/CEE, 2002/74/CE e 2008/94/CE).
I requisiti per accedere alle prestazioni del Fondo di garanzia sono diversi a seconda che il datore di lavoro sia assoggettabile o meno a procedura concorsuale.
In caso affermativo, i requisiti necessari all’intervento del Fondo di garanzia sono i seguenti:
- la cessazione del rapporto di lavoro subordinato, indipendentemente dal fatto che il rapporto sia cessato per dimissioni, licenziamento, accordo di risoluzione o scadenza del termine del contratto a tempo determinato;
- l’apertura di una procedura concorsuale, quale fallimento o liquidazione giudiziale, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria;
- l’esistenza del credito per TFR e/o per retribuzioni rimasto insoluto ed ammesso nello stato passivo del datore di lavoro insolvente.
Nel caso in cui, invece, il datore di lavoro non sia assoggettabile a procedure concorsuali, il lavoratore potrà accedere al Fondo di garanzia alla presenza dei seguenti requisiti:
- la cessazione del rapporto di lavoro subordinato, per le ragioni sopra meglio precisate;
- l’inapplicabilità al datore di lavoro delle procedure concorsuali, da valutarsi in relazione ai requisiti di legge;
- la prova dell’esistenza di un credito per TFR e/o retribuzioni: è necessario che il credito sia accertato mediante sentenza passata in giudicato, decreto ingiuntivo esecutivo, decreto di esecutività del verbale di conciliazione ex 411 c.p.c., verbale di conciliazione monocratica dichiarato esecutivo con decreto del Giudice competente, diffida accertativa per crediti patrimoniali avente efficacia di titolo esecutivo;
- l’insufficienza delle garanzie patrimoniali del datore di lavoro a seguito dell’esperimento dell’esecuzione forzata.
Per ulteriori dettagli, si rinvia alle particolareggiate istruzioni riportare nella circola INPS sopra citata.
Autore: Avv. Roberta Amoruso