Evasione ed omissione: cosa ne pensa l’INPS
In tempi piuttosto recenti l’Istituto Nazionale di Previdenza ha voluto (Cicero pro domo sua) definire una volta per tutte quanto, secondo i propri Uffici, deve intendersi per evasione ed omissione contributiva.
Con la Circolare n. 106 del 5 luglio 2017 l’INPS ha infatti edotto la platea con la propria interpretazione partendo dai presupposti ex L. 388/2000 con particolare riferimento alla Sentenza della Corte di Cassazione, sezione lavoro, n. 28966 del 27 dicembre 2011, con la quale il Giudice di legittimità operava una puntuale ricostruzione del quadro normativo definito dalla stessa norma.
I principi cardine diventano, pertanto, i seguenti:
a) costituisce principio consolidato la circostanza che il mancato o ritardato pagamento dei contributi, in presenza di tutte le denunce e registrazioni obbligatorie necessarie, integra la fattispecie dell’omissione contributiva mentre
b) si configura l’ipotesi dell’evasione laddove vi sia occultamento di rapporti di lavoro ovvero di retribuzioni erogate e l’occultamento sia attuato con l’intenzione specifica di non versare i contributi o i premi, ossia con un comportamento volontariamente indirizzato a tale scopo.
L’Ente previdenziale vuole puntare il dito, seguendo l’indicazione della Corte, sull’elemento oggettivo dell’occultamento, ritenendo che tale termine non debba esclusivamente indicare l’assoluta mancanza di qualsivoglia elemento documentale che renda possibile l’eventuale accertamento della posizione lavorativa o delle retribuzioni ma possa ricorrere anche nelle ipotesi di denuncia obbligatoria (cfr. Uniemens ora, DM10 in passato) che risulti non presentata, incompleta o non conforme al vero.
Si vuole creare un pericoloso – a parere di chi scrive – nesso funzionale tra denunce obbligatorie (presunte) “occultate” e pagamento dei contributi dovuti; secondo la richiamata sentenza, quindi, l’INPS ritiene che l’omessa o infedele denuncia integra tuot court un “(…) comportamento sintomatico della volontà di occultare i rapporti e le retribuzioni nel quale è possibile individuare il requisito di carattere soggettivo, rappresentato dall’elemento psicologico dell’intenzionalità previsto dalla norma, necessario a ricondurre la fattispecie nell’alveo dell’evasione”. Pericolosa iperbole derivante da un’asettica quanto semplicistica lettura delle disposizioni normative e della Sentenza stessa.
Presumere l’esistenza di una specifica volontà del soggetto, derivandola dalla mera inesatta o parziale presentazione di una denuncia mensile (magari per colpa del proprio intermediario abilitato), considerandola dolosamente “(…) diretta ad evitare possibili accertamenti o riscontri in assenza dei quali si consentirebbe al contribuente, in concreto, di sottrarsi al versamento di quanto dovuto ovvero di adempiere in misura inferiore (…)” risulta, a parere dello scrivente, pericolosamente limitante; viene reso ulteriormente gravoso l’onere di rinvenire, nella condotta, l’elemento psicologico (art. 116, comma 8, lettera b) che, come ben sappiamo, è fondamentale per la corretta valutazione del comportamento omissivo.
Elemento psicologico (intenzione specifica di non versare i contributi o premi) – messo in atto tramite l’occultamento di rapporti di lavoro ovvero di monti retributivi erogati – che se mancante, riporterebbe la questione nell’alveo dell’ipotesi meno grave dell’omissione.
L’accertamento della sussistenza delle circostanze attenuanti, ove eccepite, idonee a superare la suddetta presunzione dell’intento fraudolento, spetterà al giudice di merito in quanto presunzione non assoluta; l’onere probatorio viene posto a carico del soggetto inadempiente.
Tale procedimento interpretativo, di fatto, consente all’Istituto previdenziale di invertire l’onere della prova, facendola ricadere sul datore di lavoro che a quel punto è costretto a mettere in campo ogni sforzo per dimostrare la sua buona fede e quindi la mancanza dell’intento fraudolento. Trasferire sul datore di lavoro il peso della prova, sia economico che organizzativo, è una posizione che consente evidenti e abnormi vantaggi per l’Ente previdenziale, a questo punto tenuto solo a rilevare, il più delle volte in forma meccanizzata e automatica, il mero dato della mancata presentazione, non conformità o tardività della denuncia.
L’esplicito rimando al giudice di merito preclude, altresì, qualsivoglia accesso all’istituto dell’Autotutela (vedi Autotutela INPS quale istituto deflativo del contenzioso in materia previdenziale) per il tramite del quale la singola Sede INPS, analizzata l’istanza del contribuente e verificata l’infondatezza delle ragioni sostanziali che hanno determinato l’emissione del titolo, dovrebbe intervenire, in autotutela appunto, sgravando/annullando il titolo indebitamente emesso.
L’impianto decisionale, così come introdotto dalla Circ. 106/1, ha evidente segno opposto alla profonda opera di mutamento (si vedano al riguardo, tra le altre, le Circolari Inps nn. 102/ 2009, 129/2010 e 48/2011), non soltanto degli apparati organizzativi ma anche dell’approccio alle vicende conflittuali che vedrebbero interessato l’Istituto, con una particolare attenzione dedicata ai controlli e alla tempestività dell’azione amministrativa al fine di favorire al massimo l’utilizzo dello strumento dell’autotutela.
L’art. 116, c. 8, lett. b) della L. 388/00 introduce, però, una sorta di ravvedimento operoso stabilendo che le sanzioni civili previste per l’evasione debbano essere ricondotte alla stessa misura prevista per l’ipotesi di omissione nel caso in cui:
– spontaneamente sia effettuata la denuncia della situazione debitoria entro 12 mesi dal termine previsto per il pagamento della contribuzione;
– la denuncia stessa preceda qualsivoglia contestazione da parte dell’Istituto;
– il versamento del debito contributivo sia effettuato nei successivi trenta giorni.
Pertanto, l’unica possibilità di acceso al regime sanzionatorio meno grave è legato al ravvedimento spontaneo delle posizioni debitorie attivato prima di avvisi bonari, note di rettifica, avvisi di addebito, etc. da parte dell’INPS entro un anno dalla data di scadenza legale dell’adempimento erroneamente gestito e sempre che il pagamento della contribuzione denunciata sia effettuato nei successivi 30 giorni dalla presentazione dell’Uniemens; in tal caso le sanzioni civili saranno dovute, in ragione d’anno, pari al tasso ufficiale di riferimento (TUR, oggi pari a zero come da Comunicato B.C.E. del 10 marzo 2016) maggiorato di 5,5 punti (art. 116, comma 8, lettera a) L 388/00. In caso contrario le sanzioni civili saranno dovute, sempre in ragione d’anno, pari al 30%.
…e vi assicuro che tra il 5,50% ed il 30% la differenza non è di poco conto!
Luca Bianchin, Consulente del lavoro