L’accordo di rinnovo dei pubblici esercizi del 05.06.2024 e la stagionalità
Per quanto te la raccontino sostenendo che il Turismo in Italia sia un settore trainante, viste le bellezze del Bel Paese, alla fine, stringi stringi, sono solo parole.
Tuttavia, alle parole, devono seguire i fatti che, nel nostro caso, si traducono in norme chiare e valorizzanti.
Pensiamo al recente rinnovo del contratto collettivo dei PUBBLICI ESERCIZI (o, se volete, al rinnovo siglato il 04 luglio 2024 del contratto collettivo ALBERGHI, FEDERALBERGHI) che, di quella miniera d’oro rappresentata dal Turismo con la “T” maiuscola ne costituisce una buona parte.
Come noto, infatti, in data 05 giugno 2024 è stata sottoscritta l’attesa “l’ipotesi d’accordo di rinnovo del contratto collettivo nazionale del lavoro per i dipendenti da aziende dei settori pubblici esercizi, ristorazione collettiva e commerciale e turismo”. Frutto di una intensa e complessa trattativa, che ha visto anche la contrapposizione della ristorazione commerciale da quella collettiva, l’ipotesi di rinnovo con prossima scadenza al 31 dicembre 2027 ha dimenticato (sarà vero?) un tema centrale quale la stagionalità.
Cosa da nulla, vero?
La Stagionalità. Cenni normativi
Partiamo dalla norma.
Il D.Lgs. n. 81/2015 aveva previsto nella sua formulazione originaria l’emanazione di un decreto ministeriale per l’individuazione delle attività a carattere stagionale, che tuttavia non è mai stato adottato.
Nell’attesa, si continua a fare riferimento all’elenco previsto nel D.P.R. n. 1525/1963 e alle ulteriori ipotesi di stagionalità previste dai contratti collettivi, ad integrazione del quadro normativo (ML, int. n. 10244/2016).
La stagionalità fa davvero gola. In effetti la stessa presenta alcune peculiarità rispetto al comune regime del rapporto di lavoro a tempo determinato, dettate da una generale esigenza di semplificazione:
- agli impieghi stagionali non si applica la durata massima complessiva del contratto a termine, pari a 24 mesi (art. 19, c. 2 D.Lgs. n. 81/2015). Di conseguenza, eventuali periodi di lavoro a carattere stagionale non concorrono alla determinazione del limite di durata massima (ML, int. n. 10244/2016);
- l’assunzione dei lavoratori stagionali non è soggetta ai limiti quantitativi di utilizzo, pari al 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione (art. 23, c. 2 lett. c) D.Lgs. n. 81/2015);
- nei confronti dei lavoratori occupati in attività stagionali non trovano applicazione i limiti relativi alla causalità per proroghe e rinnovi (art. 21, c. 01 D.Lgs. n. 81/2015);
- i contratti stagionali non sono soggetti neanche agli intervalli minimi che devono intercorrere tra successivi contratti a termine – stop and go – (pari a 10 giorni nel caso in cui il precedente contratto abbia durata inferiore a 6 mesi e a 20 giorni per quelli di durata superiore), pena la trasformazione a tempo indeterminato del secondo contratto (art. 21, c. 2 D.Lgs. n. 81/2015);
- il datore di lavoro che assume su base stagionale non è tenuto a versare il contributo addizionale, pari all’1,40% della retribuzione imponibile (art. 2, c. 29, lett. b) L. n. 92/2012);
- l’esercizio del diritto di precedenza per nuove assunzioni con contratto a tempo determinato è esercitabile dal lavoratore stagione entro 3 mesi (invece degli ordinari sei mesi) dalla data di cessazione del rapporto di lavoro (art. 24, c. 3 D.Lgs. n. 81/2015).
Attese le prerogative qui evidenziate, si capisce perfettamente come il rientrare o meno nel concetto di stagionalità possa essere appetibile e determinante per le aziende del settore.
Le tematiche della stagionalità e le previsioni del CCNL Pubblici esercizi
Veniamo al concreto.
Sin dal testo del 02 febbraio 2018, il contratto collettivo nazionale Pubblici Esercizi Confcommercio dispone una duplice previsione.
Dapprima si evidenzia un articolo la cui rubrica “stagionalità” (art 89) richiama direttamente il DPR n°1525/1963 nei fatti non innovandolo né consegnando altre “ipotesi” stagionali.
Successivamente all’articolo seguente (art 90) rubricato “Intensificazione dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno” si dispone come “rientrano nei casi di legittima apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato le intensificazioni dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno, quali:
– periodi connessi a festività, religiose e civili, nazionali ed estere;
– periodi connessi allo svolgimento di manifestazioni;
– periodi interessati da iniziative promozionali e/o commerciali;
– periodi di intensificazione stagionale e/o ciclica dell’attività in seno ad aziende ad apertura annuale”.
Tale ultimo punto merita una particolare attenzione.
Con l’avvento del DL n°48/2023, l’articolo in trattazione sembra candidarsi ad essere l’esemplificazione dei “casi” di ricorso al tempo determinato non aventi caratteristiche di stagionalità (data la tecnica utilizzata dai ccnl che inizialmente “confinano” la stagione solo ad un articolo che richiama il decreto di oltre 60 anni fa). Pertanto le “intensificazioni” permetterebbero solo il ricorso al tempo determinato ex art 19 co 1 e non stagionale.
Tra le ipotesi segnate si rileva come nelle aziende “ad apertura annuale” (pensiamo ad un pubblico esercizio o ad un albergo che nelle città d’arte italiane non vedono riduzione di turisti ma semmai temono la loro invasione) l’intensificazione “stagionale e/o ciclica” sia prevista come “legittima apposizione di un termine”.
Come è possibile che la contrattazione collettiva che, per antonomasia, deve interessarsi alla stagionalità, non riesca a mettere ordine rispetto a cosa sia tempo determinato e cosa costituisca ipotesi stagionale?
Peraltro, vi è un altro aspetto interessante.
Esattamente un anno dopo (il 07 febbraio 2019), viene siglato un accordo di rinnovo di poche righe, la cui premessa merita di essere riportata letteralmente:
“una delle principali caratteristiche del settore è la diretta correlazione tra l’andamento dell’occupazione e l’intensificazione dell’attività legata al flusso della clientela. Tali intensificazioni sono riconducibili alla stagionalità da intendersi come tale non solo per le aziende che nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia, osservano nel corso dell’anno uno o più periodi di chiusura al pubblico, ma anche per le aziende ad apertura annuale,
– in tal senso, si condivide l’esigenza dì valorizzare e preservare la permanenza nel settore delle professionalità esistenti e quelle in via di costituzione;
– sulla materia sono intervenute modifiche legislative”.
Si comprende dunque che le parti sociali si sono incontrate, dopo il c.d. Decreto Dignità (che non era intervenuto, si badi bene, sulla stagionalità ma sulle condizioni di ricorso al tempo determinato), al fine di consegnare una disciplina stagionale alle aziende di apertura annuale.
Ne è chiaro esempio (almeno così dovrebbe essere) l’unico articolo dell’accordo in parola, la cui rubrica “Lavoro stagionale” cita “le Parti, firmatarie il suddetto C.C.N.L. concordano che quanto definito dall’art. 90 dal C.C.N.L. per i dipendenti del settori Pubblici Esercizi, Ristorazione Collettiva e Commerciale e Turismo 8.2.2018 soddisfa i requisiti legali richiesti dal D.Lgs. 15.6.2015, n. 81 ai fini dell’applicazione delle specifiche normative.
Fermo restando quanto previsto dal presente Accordo, sono fatte salve le ulteriori disposizioni del C.C.N.L. in tema di stagionalità.”.
Deve rilevarsi come, al tempo, le specifiche normative rimesse alla determinazione del contratto collettivo erano, appunto, le ipotesi di attività stagionali ex art 21 co 2 del d.lgs n°81/2015.
Pertanto, per ovviare alla presenza dell’intensificazione ciclica stagionale per le aziende ad apertura annuale nell’articolo 90 che recitava (e recita) “Intensificazione dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno”, si è probabilmente voluto, con l’accordo del 07 febbraio 2019, segnalare che tale attività rientra appieno nelle ipotesi stagionali.
Ma questo intricato guazzabuglio di norme contrattuali, sono bastevoli per poter annoverare una stagionalità “rigorosa”?
Anche volendo supporre che l’intensificazione ciclica stagionale nelle aziende ad apertura annuale rientri nelle previsioni dell’art 21 comma 1 e 2 del D.Lgs n° 81/2015, per quale motivo non le si sono confinate in un regime temporale ben stabilito, così da avere maggior certezza del diritto in un settore che ne ha davvero bisogno?
La risposta è presto detta: ci penserà la contrattazione aziendale.
Peraltro, dobbiamo considerare la giurisprudenza in materia, per comprendere il fenomeno nella sua interezza.
Basti pensare alla sentenza di Cassazione n° 9243 del 04 aprile 2023, la quale ha marcatamente distinto:
- l’attività stagionale, aggiuntiva rispetto a quella normalmente svolta, la quale implica un collegamento diretto con la stagione;
- dalle fluttuazioni del mercato e gli incrementi di domanda (ovvero le intensificazioni) che si presentino ricorrenti in determinati periodi dell’anno rientrano nella nozione diversa delle c.d. punte di stagionalità che vedono un incremento della normale attività lavorativa connessa a maggiori flussi.
Le seconde, non sarebbero, per la suprema Corte, ipotesi di stagionalità che non necessitano di condizioni ex art 21 comma 2 del D.Lgs 148/2015. Rumors sembrano confermare come nel futuro decreto lavoro troverà collocazione un emendamento proprio riferito alla questione in trattazione.
Il nuovo accordo collettivo dei Pubblici Esercizi del 05 giugno 2024
Quale migliore occasione possibile, per consentire un re styling sostanziale, se non l’accordo di rinnovo del 05 giugno 2024? Peraltro in questa data non si può nascondere la testa sotto terra come gli struzzi e far finta di non sapere che, al di la della questione stagionalità come sopra spiegata (e della maggiore certezza del diritto), vi sarebbero anche da introdurre le condizioni (causali) così come previsto dal DL. n°48/2023.
Ecco, dall’esame del testo dell’ipotesi di intesa non si rileva alcuna modifica alla disciplina del tempo determinato e della stagionalità.
Il tutto ha due conseguenze più o meno logiche:
- La prima riguarda la perenne tematica di una stagionalità rimessa sempre di più a ciò che l’azienda ad apertura annuale riterrà essere “intensificazione” (ferma restando la giurisprudenza, più o meno condivisibile, in materia);
- La seconda concerne il tempo determinato “non stagionale”.
Perché non disciplinarlo? Per quale motivo consegnare un contratto collettivo che a giugno 2024 può dirsi già “vecchio”, non adeguato a ciò che succederà dopo il 31.12.2024, data al di la della quale non sarà più possibile introdurre “esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti”?
Volendo dunque concludere, si deve mestamente rilevare come:
Sulla stagionalità, vi è un peccato veniale di superbia, ritenendo che formulazioni lessicale generiche possano consentire agli operatori del settore di potersi approcciare a questo fenomeno in assoluta tranquillità, fermi delle ipotesi della contrattazione collettiva generiche e che rimettono all’arbitrarietà aziendale (con alcuna giurisprudenza che sembra non ammiccare in senso favorevole).
Sul tempo determinato, vi è il peccato veniale della pigrizia di un contratto di diritto comune che ha volutamente glissato sull’istituto e sulle prerogative dello stesso, sfuggendo a quella “delega” consegnatagli dal legislatore nel maggio 2023.
Peraltro, il giubileo si avvicina……
Autore: Dr. Dario Ceccato – Founder Ceccato Tormen & Partners
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Accreditamento Regione Toscana ai Servizi per il Lavoro (Settore Servizi per il Lavoro di Arezzo, Firenze E Prato) Decreto n. 403 del 20/09/2021
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