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23 Aprile 2025 | Approfondimenti tecnici

Dimissioni per fatti concludenti – La posizione del Ministero del Lavoro

Stretta di mano tra due persone in un concessionario con un'auto bianca sullo sfondo, simbolo di un accordo per l'uso promiscuo dell'auto.

La legge n. 203/2024, conosciuta come “collegato lavoro”, all’articolo 19 ha finalmente regolamentato la questione delle dimissioni per fatti concludenti. L’obiettivo è quello di porre fine a una prassi consolidata, secondo cui l’assenza volontaria e ingiustificata del lavoratore poteva comunque aprire la strada all’accesso alla Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI).

Tuttavia, la circolare n. 6 del 27 marzo 2025 emanata dal Ministero del Lavoro sembra proporre un’interpretazione che si discosta, almeno in parte, dall’impostazione emersa durante i lavori preparatori della legge.

Testo

Dobbiamo intenderci davvero, e senza fraintendimenti.

Se la volontà – sbandierata ovunque, dai palchi ufficiali fino alle vetrine moderne che chiamiamo “social” – era quella di adottare un approccio rigoroso verso chi, senza averne diritto, cercava di accedere a un ammortizzatore fondamentale come la NASpI, magari forzando la mano al datore di lavoro per ottenere un recesso a seguito di assenze ingiustificate, allora la lettura del cosiddetto “collegato lavoro” va in un’unica direzione. Chiara. Direi persino pacifica.

Eppure, la circolare n. 6 del 27 marzo 2025 emanata dal Ministero del Lavoro sembra andare da tutt’altra parte. Un cambio di rotta che, francamente, sorprende per la sua evidente distanza dall’impostazione emersa durante i lavori parlamentari.

A contrasto, la posizione espressa il 2 aprile 2025 dal Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro lancia un appello forte e chiaro: serve una visione univoca, trasparente e coerente rispetto a una vicenda che rischia di trasformarsi in un cortocircuito normativo e applicativo.

Rimane una domanda inevitabile: perché, nella stesura della circolare ministeriale, non si è tenuto conto della volontà parlamentare che traspare con chiarezza dai resoconti ufficiali?

Per provare a fare ordine e comprendere davvero cosa stia accadendo, sarà utile ricostruire una breve timeline della vicenda, accompagnata da qualche esempio concreto.

La legge 203/2024 e l’articolo 19: una svolta (in teoria)

L’articolo 19 del cosiddetto “Collegato Lavoro” (Legge n. 203/2024, in vigore dal 12 gennaio 2025) è intervenuto su una prassi controversa, figlia di una combinazione non proprio virtuosa tra le risposte a interpello del Ministero del Lavoro (n. 29/2013 e n. 13/2015) e alcune circolari dell’INPS (n. 140/2012, n. 142/2012, n. 44/2013).

Parliamo della ben nota strategia con cui alcuni lavoratori si assentano volutamente dal lavoro – rispettando i tempi previsti dai CCNL per il licenziamento per giusta causa – al fine di essere licenziati e accedere, così, alla NASpI. Una distorsione del sistema, che l’articolo 19 tenta ora di correggere.

Le dimissioni per fatti concludenti: il meccanismo introdotto

Oggi, grazie alla nuova disciplina, è possibile considerare dimissionario per fatti concludenti quel lavoratore che:

  • si assenta oltre il termine previsto dalla contrattazione collettiva applicata (quale sia, resta da chiarire…);
  • non giustifica l’assenza, né ne comunica i motivi.

Ma non basta l’assenza: il datore di lavoro è obbligato a comunicare il fatto all’Ispettorato Territoriale del Lavoro competente (come confermato dalla nota INL n. 579 del 22 gennaio 2025). La norma non lascia margini: “ne dà comunicazione”, recita il testo, non “può darne”.

Eppure, l’INL nella stessa nota sembra interpretare la comunicazione come facoltativa, introducendo un’ambiguità evidente rispetto alla lettera della legge.

Il testo della legge: tra obblighi e verifiche

Il cuore normativo recita: “In caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni, il datore di lavoro ne dà comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che può verificare la veridicità della comunicazione medesima. Il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina prevista dal presente articolo. Le disposizioni del secondo periodo non si applicano se il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza.”

La norma è chiara: in presenza di un’assenza ingiustificata protratta oltre il termine previsto dal CCNL – o, in mancanza di tale previsione, superiore a quindici giorni – il datore di lavoro è tenuto a comunicare l’evento all’Ispettorato Territoriale del Lavoro. L’uso dell’espressione “ne dà comunicazione” non lascia spazio a interpretazioni facoltative: si tratta di un obbligo.

Tuttavia, questa lettura viene messa in discussione dalla nota dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro del 22 gennaio 2025, che sembra considerare la comunicazione come una facoltà discrezionale del datore di lavoro. Un’impostazione che entra in contrasto diretto con il tenore letterale della legge.

La norma prevede poi una facoltà dell’Ispettorato – “può verificare” – che riguarda tanto l’effettività dell’assenza quanto l’eventuale mancata comunicazione delle motivazioni da parte del lavoratore. Fin qui, nulla da eccepire: il potere di verifica appare coerente con il ruolo dell’ITL.

Il nodo più delicato emerge però nella lettura operativa offerta dall’INL e successivamente fatta propria anche dal Ministero: secondo tale visione, le dimissioni per fatti concludenti potrebbero essere considerate nulle se il lavoratore, anche a posteriori, fornisce una giustificazione plausibile per non aver comunicato l’assenza.

Ma attenzione: qui non si parla di giustificare l’assenza in sé, bensì della mancata comunicazione dei motivi dell’assenza. Una distinzione fondamentale.

Una simile impostazione solleva forti perplessità: può davvero l’Ispettorato qualificare unilateralmente un comportamento come “non dimissioni” senza contraddittorio? In assenza di una procedura formale di accertamento, questo tipo di intervento si pone su un terreno fragile, sia dal punto di vista giuridico che da quello delle garanzie per le parti.

La posizione del Ministero: la circolare n. 6/2025

Il 27 marzo 2025 il Ministero del Lavoro interviene con la circolare n. 6, offrendo una lettura che sembra spingersi ben oltre il dato normativo.

  1. Durata dell’assenza: per il Ministero (il quale specifica: “Per quanto concerne la durata dell’assenza che può determinare la configurazione delle dimissioni per fatti concludenti, l’articolo 19 prevede che la stessa, in mancanza di specifica previsione nel CCNL applicato al rapporto di lavoro, debba essere superiore a quindici giorni. I giorni di assenza, in mancanza di ulteriori specificazioni da parte della norma, possono intendersi come giorni di calendario, ove non diversamente disposto dal CCNL applicato al rapporto di lavoro”), in assenza di previsione contrattuale, si fa riferimento a “giorni di calendario”. Tuttavia, la norma non utilizza mai l’aggettivo “specifica”, né i resoconti parlamentari suggeriscono una tale lettura restrittiva del termine previsto dal CCNL.
  2. Contratti collettivi con termini inferiori ai 15 giorni: “Nel caso in cui il CCNL applicato preveda, invece, un termine diverso da quello contemplato dalla norma in esame, lo stesso troverà senz’altro applicazione ove sia superiore a quello legale, in ossequio al già richiamato principio generale per cui l’autonomia contrattuale può derogare solo in melius le disposizioni di legge. Se, viceversa, sia previsto un termine inferiore, per il medesimo principio, dovrà farsi riferimento al termine legale”… qui si tocca il paradosso!

Secondo l’interpretazione fornita dal Ministero, un contratto collettivo che preveda un termine inferiore ai 15 giorni (soglia indicata dalla legge in assenza di una disciplina contrattuale) sarebbe considerato in contrasto con la norma, in quanto configurerebbe una deroga in peius. Di conseguenza, tale previsione risulterebbe censurabile.

Su questo punto anche il Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro ha sollevato delle rimostranze. E, a ben vedere, ha pienamente ragione.

  1. La ratio della norma è chiara: il termine legale di 15 giorni trova applicazione solo in assenza di una previsione del contratto collettivo. Non c’è alcun riferimento a un termine “minimo” inderogabile né al concetto di deroga “in melius”. Il legislatore ha lasciato ai contratti collettivi il compito di stabilire autonomamente i propri parametri, senza subordinare la validità a un confronto di merito con la norma.
  2. Le conseguenze pratiche di questa lettura ministeriale sono paradossali: se un CCNL stabilisse, ad esempio, 20 giorni di assenza ingiustificata per far scattare le dimissioni per fatti concludenti (ipotesi tutt’altro che improbabile, anche alla luce del confronto in atto con le organizzazioni sindacali, storicamente contrarie a questa fattispecie), il meccanismo rischierebbe di perdere ogni efficacia.

Vediamo quindi un caso concreto:

  • Un dipendente si assenta per 5 giorni consecutivi, superando così il limite per il licenziamento per giusta causa previsto dal contratto collettivo;
  • Lo stesso contratto prevede però 20 giorni di assenza non giustificata per configurare una risoluzione per fatti concludenti;
  • L’azienda, nel frattempo, resta in un limbo: non può attivare tempestivamente la procedura prevista dalla legge, e rischia il reintegro del lavoratore o una contestazione tardiva;
  • Il lavoratore, infine, potrebbe semplicemente ricomparire al diciassettesimo giorno, magari dichiarando una malattia o sostenendo di aver creduto di essere in ferie, facendo scattare così la classica procedura disciplinare.

Il gioco è fatto: NASpI ottenuta, obiettivo raggiunto.

E adesso? Come spesso accade, ci troveremo probabilmente ad attendere chiarimenti dei chiarimenti. E magari qualcuno ci dirà che abbiamo interpretato male. Di nuovo.

Ma a questo punto la domanda è inevitabile: a chi giova tutto questo?

Autore: Dott. Dario Ceccato

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