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18 Giugno 2024 | News

Assenze del lavoratore dipendente con figli

Madre lavoratrice che aiuta la figlia a comprendere una determinata materia

Nella presente sintesi sono elencate le principali assenze (congedi, permessi, ecc.), previste dalla legge, che i lavoratori possono fruire per motivi familiari.

Congedo obbligatorio di maternità (articolo 16, del Decreto Legislativo n. 151/2001)

Il congedo di maternità è il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro riconosciuto alle lavoratrici dipendenti durante la gravidanza e il puerperio. Inizia due mesi prima la data presunta del parto e prosegue per i tre mesi successivi al parto.

È possibile richiedere una flessibilità dei due mesi prima, sino alla fruizione dell’intero periodo di astensione (5 mesi) da effettuarsi dopo il parto (in questi casi, è necessario un certificato medico che avalla questa opzione).

Il periodo di astensione può riguardare periodi di gestazione antecedente i due mesi prima del parto qualora sia disposta l’interdizione anticipata su disposizione dell’Azienda Sanitaria Locale, se la gravidanza è a rischio, o dell’Ispettorato territoriale del lavoro se le mansioni sono incompatibili con la gravidanza.

Inoltre, qualora le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino e la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, questa può richiedere, all’’Ispettorato territoriale del lavoro, un ulteriore periodo di maternità (cd. interdizione posticipata) fino a sette mesi dopo il parto.

In caso di parto gemellare, la durata dei suddetti congedi di maternità non varia.

Interruzione della gravidanza (articolo 16, del Decreto Legislativo n. 151/2001)

L’interruzione della gravidanza avvenuta dopo 180 giorni dall’inizio della gestazione è considerata parto e dà diritto all’astensione e alla relativa indennità di maternità per i tre mesi successivi. Se l’interruzione avviene prima di tale termine, la lavoratrice non ha diritto all’indennità di maternità, ma a quella di malattia.

Congedo di paternità alternativo (articolo 28, del Decreto Legislativo n. 151/2001)

Il lavoratore padre può richiedere l’astensione dal lavoro per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in caso di:

  • morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono;
  • in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre;
  • qualora la madre sia lavoratrice autonoma avente diritto all’indennità.

Congedo di paternità obbligatorio (articolo 27-bis, del Decreto Legislativo n. 151/2001)

Il padre lavoratore (anche adottivo o affidatario) ha diritto a 10 giorni di congedo (anche in via non continuativa, ma non frazionabili ad ore) da effettuare da due mesi prima la data presunta del parto fino ai cinque mesi successivi alla nascita del figlio/a.

Il congedo è fruibile dal padre anche durante il congedo di maternità della madre lavoratrice.

In caso di parto plurimo, la durata del congedo è aumentata a venti giorni lavorativi.

Per l’esercizio del diritto, il padre comunica in forma scritta al datore di lavoro i giorni in cui intende fruire del congedo, con un anticipo non minore di cinque giorni, ove possibile in relazione all’evento nascita, sulla base della data presunta del parto, fatte salve le condizioni di miglior favore previste dalla contrattazione collettiva. La forma scritta della comunicazione può essere sostituita dall’utilizzo, ove presente, del sistema informativo aziendale per la richiesta e la gestione delle assenze.

Congedi parentali (articolo 34, del Decreto Legislativo n. 151/2001)

I genitori lavoratori hanno diritto a sei mesi di congedo l’uno, richiedibili fino al dodicesimo anno di vita del figlio.

Il congedo è prolungabile fino ad un massimo di tre anni in caso di figlio minore con handicap in condizione di gravità.

I periodi di congedo sono indennizzati al 30% della retribuzione media globale giornaliera e sono a carico dell’INPS. Tale indennità è elevata, in alternativa tra i genitori, per la durata massima complessiva di due mesi fino al sesto anno di vita del bambino, alla misura dell’80% della retribuzione nel limite massimo di un mese e alla misura del 60% della retribuzione nel limite massimo di un ulteriore mese (elevata all’80% per il solo anno 2024).

Tali permessi sono indennizzati al 30% della retribuzione effettivamente corrisposta.

La lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre con figlio minore disabile in situazione di gravità accertata (ai sensi dell’articolo 4, comma 1, della legge n. 104/1992) ha diritto, entro il compimento del dodicesimo anno di vita del bambino, al prolungamento del congedo parentale, fruibile in misura continuativa o frazionata, per un periodo massimo, comprensivo dei periodi ordinari di congedo, non superiore a tre anni, a condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso un istituto specializzato salvo che, in tal caso, sia richiesta dai sanitari la presenza del genitore.

Riposi per allattamento (articolo 39, del Decreto Legislativo n. 151/2001)

Durante il primo anno di vita del bambino o entro un anno dall’ingresso in famiglia del minore adottato o in affidamento, la lavoratrice ha diritto a due ore al giorno di riposo, se l’orario di lavoro è di almeno sei ore giornaliere, e a un’ora, se l’orario è inferiore a sei ore. Le ore sono da considerare orario di lavoro agli effetti della durata e della loro retribuzione e danno diritto ad uscire dall’azienda.

I riposi raddoppiano in caso di parto gemellare o plurimo e di adozione o affidamento di almeno due bambini, anche non fratelli ed eventualmente entrati in famiglia in date diverse.

Nel caso di fruizione di asilo nido o di altra struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro nell’unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa, i riposi si riducono della metà:

  • un’ora, in caso di orario giornaliero di lavoro pari o superiore a sei ore;
  • mezz’ora, in caso di orario giornaliero di lavoro inferiore a sei ore.

I periodi di riposo sono riconosciuti, in alternativa, al padre lavoratore:

  1. nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre;
  2. in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga;
  3. nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente;
  4. in caso di morte o di grave infermità della madre.

Congedi malattia figlio/a (articolo 47, del Decreto Legislativo n. 151/2001)

È previsto, alternativamente tra i genitori, un congedo corrispondente a tutto periodo di malattia del figlio/a con un’età non superiore a tre anni. Se il figlio ha un’età compresa tra cinque e gli otto anni, il congedo è previsto nel limite massimo di cinque giorni lavorativi all’anno. 

Per giustificare i giorni di assenza va prodotto, al datore di lavoro, il certificato di malattia relativo al minore.

L’assenza del lavoratore dovuta a malattia del figlio non è soggetta agli ordinari controlli previsti per la malattia del lavoratore.

Per quanto riguarda il trattamento economico, i congedi malattia figlio/a non sono, ordinariamente, retribuiti, va, comunque, verificato quanto detto dal CCNL applicato tra le parti. Sono assenze, comunque, coperte da contribuzione figurativa.

Permesso per assistenza figlio disabile (articolo 33, comma 2, della Legge n. 104/1992)

La lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di minore con disabilità in situazione di gravità accertata, può chiedere al datore di lavoro di usufruire, in alternativa al prolungamento fino a tre anni del congedo parentale (previsto all’articolo 33, del decreto legislativo n. 151/2001), di due ore di permesso giornaliero retribuito fino al compimento del terzo anno di vita del bambino.

Congedo per assistenza figlio disabile (articolo 33, comma 3, della Legge n. 104/1992)

I lavoratori genitori, anche adottivi o affidatari, di figli disabili in situazione di gravità, hanno diritto a tre giorni di permesso mensile (anche in maniera non continuativa e frazionabili in ore).

Il figlio non deve essere ricoverato a tempo pieno.

I permessi sono retribuiti e coperti da contribuzione figurativa.

Detti permessi si cumulano ai permessi previsti dal decreto legislativo n. 151/2001 (congedo parentale e congedo per malattia figlio).

Gravi motivi familiari (articolo 4, comma 2, della Legge n. 53/2000)

Il dipendente, nell’arco della vita lavorativa, può richiedere, per gravi e documentati motivi familiari, un periodo di congedo, continuativo o frazionato, fino a due anni.

Durante tale periodo il dipendente conserva il posto di lavoro, non ha diritto alla retribuzione e non può svolgere alcun tipo di attività lavorativa. Il congedo non è computato nell’anzianità di servizio né ai fini previdenziali. La contrattazione collettiva può prevedere le modalità di partecipazione, di questi lavoratori, ad eventuali corsi di formazione prima della ripresa dell’attività lavorativa dopo la sospensione.

Lutto o grave infermità (articolo 4, comma 1, della Legge n. 53/2000)

Il dipendente ha diritto a tre giorni lavorativi di permesso retribuito l’anno, da fruire in caso di decesso o documentata grave infermità del coniuge, di un parente entro il secondo grado o del convivente, purché la stabile convivenza con il lavoratore o la lavoratrice risulti da certificazione anagrafica.

Autore: Roberto Camera