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01 Settembre 2016 | Approfondimenti tecnici

La contrattazione collettiva

Quando si parla di contratti collettivi di lavoro il pensiero corre subito alla contrattazione di livello nazionale, ai cd. CCNL di categoria. In realtà la struttura delle fonti contrattuali prevede un livello ancora più in alto rispetto ai CCNL, ossia gli Accordi interconfederali che sono il prodotto della contrattazione tra le Confederazioni dei sindacati e le associazioni negoziali delle imprese e dell’artigianato.

Il livello nazionale della contrattazione collettiva si concretizza attraverso una trattativa tra le categorie nazionali (ad esempio i metalmeccanici) e le relative associazioni imprenditoriali, per raggiungere un accordo che vincolerà un determinato settore produttivo in tutto il territorio nazionale. Le regole dettate dal CCNL sono, normalmente, regole di dettaglio rispetto alle previsioni generiche della legge. In particolare ai CCNL è affidato l’importante compito di determinare i livelli di retribuzione minima di ciascun settore e per ciascun livello di inquadramento, ma anche di definire quali mansioni corrispondo a un livello o a un altro. Regola fondamentale che il CCNL deve rispettare, nel rispetto del sistema delle fonti normative, è non prevedere qualcosa che sia in contrasto con la legge o con gli accordi interconfederali, a meno che il trattamento differente previsto dal CCNL non sia di miglior favore per il dipendente rispetto a quanto stabilito dalla legge. In altre parole, la contrattazione nazionale può derogare alla legge, ma sono in senso migliorativo per il lavoratore.

Il secondo livello di contrattazione collettiva si realizza, invece, a livello aziendale o territoriale. In quest’ultimo caso, normalmente, vengono stipulati accordi che riguardano una particolare zona e che, per uniformità di esigenze delle aziende ivi stabilite magari perché appartenenti ad un medesimo comparto, si applicheranno a tutte le aziende che si trovano in quel territorio.
Gli accordi di secondo livello sono importanti strumenti per le aziende poiché permettono loro di ritagliarsi e definire con i sindacati regole specifiche per le singole e concrete esigenze aziendali in materia, ad esempio, di orario di lavoro, di gestione delle ferie e dei permessi o anche di ridisegnare certe forme di contratto. Infatti il nuovo Testo Unico dei contratti di lavoro (D.lgs. 81/2015) ha previsto moltissime deleghe alla contrattazione di secondo livello stabilendo, in pratica, regole che si applicano solo se i contratti aziendali o territoriali non hanno previsto diversamente.
Anche nel caso della contrattazione di secondo livello, però, è necessario per la validità dell’accordo che siano rispettate le disposizioni della legge e anche dei CCNL che nella gerarchia delle fonti si collocano a un livello più alto. Deroghe a queste discipline saranno possibili solo ove prevedano trattamenti migliorativi per il lavoratore.

Unico caso in cui la legge attribuisce alla contrattazione di secondo livello un potere derogatorio anche in senso peggiorativo è quello della contrattazione di prossimità. L’articolo 8 del D.L. 138/2011 ha previso che i contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale possono realizzare specifiche intese volte a regolare materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione andando in deroga anche peggiorativa ai CCNL e alla legge, a patto che rispettino quando previsto dalla Costituzione e dalla normative comunitarie e internazionali in materia di lavoro.

Se, quindi, la contrattazione coinvolge i sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale, gli accordi di prossimità potranno cambiare le regole dei rapporti di lavoro oltre i limiti della legge e dei CCNL, nelle seguenti materie:

–    mansioni del lavoratore (andando, ad esempio, in deroga all’articolo 2013 c.c. in tema di demansionamento);

–    classificazione e inquadramento del personale (prevedendo, ad esempio, per un certo lasso di tempo – come per l’apprendistato – un inquadramento inferiore rispetto a quello previsto per le medesime mansioni dal CCNL);

–    disciplina dell’orario di lavoro (agendo, ad esempio, sulle modalità di calcolo dell’orario multiperiodale);

–    modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro (stabilendo, ad esempio, periodi di prova più lunghi rispetto a quelli previsti nel CCNL);

–    conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro (sarebbe possibile, ad esempio, elevare la soglia numerica per l’applicazione della tutela reale, “sbloccando” il limite delle 15 unità assunte a tempo indeterminato o escludere il risarcimento per il periodo compreso tra la data del licenziamento e la reintegrazione).

Viene, però, precisato che anche per i contratti di prossimità permangono alcuni limiti invalicabili, ossia ambiti in relazione ai quali non è ammessa comunque nessuna deroga rispetto alla disciplina normativa e di CCNL, ossia:

  • il licenziamento discriminatorio;
  • il licenziamento della lavoratrice in concomitanza con il matrimonio;
  • il licenziamento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino a un anno di età del bambino;
  • il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore;
  • il licenziamento in caso di adozione o affidamento.

 

Dott.ssa Emiliana Maria Dal Bon – Consulente del lavoro