Tipologie di invio del personale dipendente all’estero: il trasferimento
Il trasferimento è un’altra delle modalità attraverso le quali un datore di lavoro può decidere di inviare all’estero i propri lavoratori dipendenti.
A livello legislativo non si trova nessuna definizione di trasferimento, ma la giurisprudenza ha progressivamente inquadrato la fattispecie come un mutamento definitivo del luogo geografico della prestazione lavorativa, presso una sede differente rispetto al luogo normale di lavoro.
Per poter individuare correttamente le ipotesi in cui si può correttamente parlare di trasferimento, il concetto di unità produttiva assume una rilevanza assoluta. Anche in questo caso è necessario rifarsi alla ricostruzione giurisprudenziale del concetto che stabilisce che ogni articolazione autonoma dell’impresa, che sia idonea ad espletare, in tutto o in parte, l’attività di produzione di beni o di servizi costituente l’oggetto sociale aziendale e quindi che risulti dotata, oltre che della necessaria autonomia, anche di tutti gli strumenti sufficienti e indispensabili allo svolgimento della funzione produttiva dell’impresa può essere considerata unità produttiva.
Il trasferimento da un’unità produttiva a un’altra, in base all’art. 2103 c.c., deve essere motivato unicamente da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, che debbono sussistere al momento in cui viene disposto il trasferimento.
Non raccolte in una trattazione unitaria ed organica, ma sparse all’interno di differenti discipline legislative, si trovano una serie di circostanze ulteriori in cui non è possibile per il datore di lavoro disporre un trasferimento unilaterale (mentre sarebbe possibile uno consensuale):
a) durante il periodo di mandato per i lavoratori che ricoprano cariche di consiglieri comunali o provinciali (art. 27, L. 816/1985);
b) per il genitore o familiare lavoratore che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado disabile (art. 33, co. 5 e 6, L. 104/1992);
c) per la lavoratrice madre, ovvero, in mancanza, il padre, fino al compimento di 1 anno di età del bambino (art. 56, co. 1 e 2, D.Lgs. 151/2001);
d) per i dirigenti sindacali aziendali, il cui trasferimento può essere operato solo a condizione che si sia ottenuto il nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza, sino all’anno successivo alla cessazione della carica (art. 22, co. 1, Stat. Lav.);
e) per le specifiche indicazioni della contrattazione collettiva di riferimento.
Al lavoratore trasferito definitivamente presso una diversa sede di lavoro, magari anche all’estero, può essere riconosciuta un’indennità di trasferimento a titolo “risarcitorio”. L’intenzione è quella di rifondere in qualche modo il disagio e la concreta penalizzazione, anche economica, che il lavoratore potrebbe aver ricevuto a causa del trasferimento. Tale indennità, per il primo anno in cui è corrisposta, non concorre a formare il reddito nella misura del 50% del suo ammontare per un importo complessivo annuo non superiore a € 1.549,37 per i trasferimenti all’interno del territorio nazionale, e € 4.648,11 per quelli fuori dal territorio nazionale o a destinazione in quest’ultimo.
Oltre al normale caso in cui il trasferimento viene disposto dal datore di lavoro, l’agevolazione tributaria in commento è riconosciuta anche nell’ipotesi di richiesta di trasferimento proveniente dal lavoratore o nel caso in cui l’azienda datrice trasferisca la propria sede operativa in altra località.
Dal punto di vista previdenziale, stante la armonizzazione tra le basi imponibili fiscale e contributiva valgono le medesime regole innanzi illustrate. Quindi l’esenzione vale anche per il profilo previdenziale nella medesima misura in cui vale per quello fiscale.
Diversi e da tenere distinti dall’indennità di trasferimento sono le spese di viaggio, comprese le spese sostenute per familiari a carico, trasporto di cose e gli oneri relativi all’eventuale recesso dal contratto di locazione a seguito del trasferimento. Dette spese se rimborsate dal datore di lavoro e analiticamente documentate, non concorrono a formare il reddito anche se in caso di contemporanea erogazione dell’ indennità di trasferimento. E’ opportuno specificare che il rimborso di queste spese può riguardare anche i familiari del dipendente trasferito, purché essi siano da considerarsi fiscalmente a suo carico. Non rientrano invece nell’ipotesi agevolativa analizzata le ulteriori spese sostenute dal lavoratore per eventuali successivi viaggi, fuori dall’iniziale spostamento causato dal trasferimento, al fine – ad esempio – di ricongiungersi periodicamente con familiari non trasferitisi.
Dott.ssa Emiliana Maria Dal Bon – Consulente del lavoro