La tutela della genitorialità
Negli ultimi vent’anni è stata avvertita con sempre maggior forza la necessità di aiutare e tutelare non solo le madri ma anche i padri nel conciliare le esigenze familiari con il lavoro, in ossequio ai principi costituzionali e comunitari. Assistiamo, dunque, ad una fiorente attività normativa in tale ambito, dapprima con la Legge n. 53/2000, poi con il D.Lgs. n. 151/2001 (c.d. “Testo Unico sulla maternità e paternità”), proseguendo con la Legge n. 92/2012 (c.d. “Legge Fornero”) e, infine, concludendo con il recente D.Lgs. n. 80/2015 (uno dei decreti attuativi della riforma operata dal c.d. “Jobs Act”), che recepisce diverse recenti pronunce della Corte Costituzionale. Ad esse si aggiungono le previsioni inserite nella Legge di Stabilità per il 2016 (L. n. 208/2015) e nella Legge di Bilancio per il 2017 (L. n. 232/2016).
Le principali tutele riconosciute alla lavoratrice durante e dopo il periodo di gravidanza sono le seguenti:
– permessi retribuiti per effettuare esami parentali, accertamenti clinici e visite mediche specialistiche inevitabilmente coincidenti con l’orario di lavoro;
– adibizione, in caso di incompatibilità della mansione effettivamente svolta con lo stato di gravidanza, ad altra mansione compatibile, anche inferiore (comunque conservando la precedente retribuzione e qualifica professionale). Qualora ciò non sia possibile, dovrà essere emesso un provvedimento di interdizione anticipata per maternità a rischio;
– sino a 7 mesi di età del figlio, vige il divieto di prestare lavoro notturno (dalle ore 24:00 alle ore 6:00), di trasportare e sollevare pesi, di svolgere lavori pericolosi, faticosi o insalubri, di effettuare lavori per i quali sussiste l’obbligo di visite mediche preventive e periodiche. Successivamente a tale periodo e sino al compimento di 3 anni di età del figlio, la lavoratrice madre (o, in alternativa, il lavoratore padre) non è obbligata a prestare lavoro notturno;
– sino a 1 anno di vita del bambino, vige il divieto di licenziamento della lavoratrice, a pena di nullità. In questo periodo la lavoratrice potrà comunque presentare dimissioni volontarie necessariamente da convalidare, senza essere tenuta a comunicarle con preavviso e mantenendo il diritto all’indennità sostitutiva del preavviso. E’ anche possibile risolvere consensualmente il rapporto di lavoro, purché comunque intervenga la relativa convalida da parte della lavoratrice. Particolari obblighi di convalida sussistono, inoltre, per le dimissioni presentate sia dalla madre che dal padre sino a 3 anni di età del figlio (anche se adottato).
Il Legislatore ha approntato, a sostegno della genitorialità, diversi strumenti, tra cui:
– congedo obbligatorio di maternità: decorre dai 2 mesi antecedenti il parto sino a 3 mesi dopo il parto. Peraltro, è data alla lavoratrice la possibilità di chiedere che tale periodo di 5 mesi venga fatto “slittare”, così iniziando 1 mese prima del parto e terminando 4 mesi dopo il parto (c.d. “congedo flessibile”). In caso di parto prematuro, i giorni non goduti prima del parto si aggiungono al periodo di congedo successivi ad esso. Il periodo di congedo obbligatorio è considerato a tutti gli effetti come periodo di lavoro. Durante tale periodo alla lavoratrice spetta un’indennità di maternità erogata dall’INPS pari all’80% della retribuzione lorda, che può essere integrata dal datore di lavoro sino al 100% a seconda delle previsioni riportate nei contratti collettivi. Il diritto all’indennità di maternità permane anche nei casi in cui l’inizio del congedo obbligatorio avvenga entro 60 giorni dall’ultimo giorno lavorato (c.d. periodo di “protezione assicurativa”), anche in caso di scadenza di contratti a termine.
Inoltre, in caso di gravidanza a rischio o di lavori gravosi o pregiudizievoli per essa, la lavoratrice può vedersi riconosciuta un’estensione del periodo di astensione anteriore al parto. E’, altresì, prevista la possibilità che l’astensione post-partum venga prorogata sino a 7 mesi per impossibilità di adibire la lavoratrice a mansioni non pericolose, faticose o insalubri;
– congedo di paternità: il alternativa (totale o parziale) alla fruizione del congedo di maternità, il padre può astenersi dal lavoro in caso di morte o grave infermità della madre, oppure in caso di abbandono o affidamento esclusivo del bambino al padre. Tale diritto è riconosciuto anche ai lavoratori padri autonomi e liberi professionisti. In ogni caso, il padre è tenuto ad assentarsi dal lavoro per un periodo di due giorni (estesi a quattro dal 2018) entro cinque mesi dalla nascita del figlio (c.d. “congedo di paternità obbligatorio”), con diritto ad un’indennità erogata dall’INPS pari al 100% della retribuzione;
– congedo parentale: ciascun genitore può facoltativamente astenersi dal lavoro entro i primi 12 anni di vita del bambino, per la durata di 6 mesi per la madre e 7 mesi per il padre (se si astiene dal lavoro per 3 mesi consecutivi), purché, complessivamente, i periodi di congedo parentale richiesti dai due genitori non siano superori a 10 mesi (11 mesi se il padre si astiene dal lavoro per 3 mesi consecutivi). La durata raddoppia in caso di parto gemellare. Durante tale periodo di astensione, e fino ad un massimo di 6 mesi, il lavoratore ha diritto ad un’indennità pari al 30% della retribuzione;
– riposi giornalieri (c.d. “permessi per allattamento”): la madre ha diritto, per il primo anno di vita del bambino, a permessi pari a 1 o 2 ore al giorno (anche cumulabili), a seconda che l’orario di lavoro giornaliero contrattuale sia inferiore o pari/superiore a 6 ore al giorno (ridotti alla metà, qualora la lavoratrice usufruisca dell’asilo nido o di altra struttura idonea predisposti dal datore di lavoro nell’unità produttiva o nelle vicinanze di essa). In caso di parto gemellare (o plurigemellare), è previsto il raddoppio dei riposi. Durante tale periodo il genitore ha diritto ad un’indennità, pari al 100% della retribuzione, a carico dell’INPS. Tali permessi possono essere riconosciuti, alternativamente, anche al padre, laddove i figli siano stati affidati solo a costui, o la madre sia una lavoratrice dipendente e abbia deciso di non utilizzare tali permessi, oppure nei casi in cui la madre sia lavoratrice autonoma o parasubordinata, oppure infine in caso di morte o grave infermità della madre;
– congedo per malattia del figlio: entrambi i genitori, alternativamente, hanno illimitatamente diritto di astenersi dal lavoro, senza che venga loro corrisposta alcuna indennità, per assistere il figlio malato di età non superiore ai 3 anni. Qualora il figlio abbia oltre i 3 e fino agli 8 anni di età, ciascun genitore può astenersi dal lavoro per 5 giorni l’anno;
– voucher baby sitter e asili nido: la lavoratrice madre, in alternativa al congedo parentale, può usufruire di un voucher mensile di 600 euro per massimo 6 mesi per l’acquisto dei servizi di baby sitting o asilo nido. Questo voucher può essere richiesto, per un massimo di 3 mesi, anche dalla lavoratrice libera professionista iscritta alla gestione separata INPS.
Particolari tutele sono, altresì, riconosciute per i lavoratori che adottino un bambino. Tra queste, seppur con previsioni talvolta particolari: il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo pari a 5 mesi dall’ingresso del bambino in famiglia, indipendentemente dall’età dell’adottato; il diritto al congedo parentale, che può essere fruito entro 12 anni dall’ingresso del minore in famiglia e fino al raggiungimento della maggiore età; il diritto ai riposi giornalieri, dei quali usufruire entro 1 anno dall’inserimento in famiglia dell’adottato; il diritto al congedo per malattia del figlio; il diritto di rifiutarsi di prestare lavoro notturno entro i primi 3 anni dall’inserimento in famiglia dell’adottato.
Quelli descritti sono soltanto alcuni degli strumenti approntati dal Legislatore a sostegno ed incentivazione della genitorialità. Solo per citarne ulteriori, vi sono anche l’assegno di maternità dello Stato per le lavoratrici precarie o disoccupate, l’assegno di maternità dei Comuni, il premio alla nascita introdotto con la Legge di Bilancio per il 2017, l’assegno di natalità (c.d. “bonus bebè”), il c.d. “bonus nido”, il Fondo di sostegno alla natalità, l’assegno dei Comuni per nuclei familiari numerosi, le agevolazioni e gli aiuti in favore dei genitori con figli portatori di handicap, etc.
Questi e molti altri strumenti, anche a livello comunitario, si stanno studiando al fine del loro perfezionamento ed introduzione nei Paesi dell’Unione Europea.
avv. Roberta Amoruso