Il contratto di lavoro individuale e gli oneri di informazione
Da poco più di vent’anni, in attuazione della direttiva 91/533/CEE concernente l’obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore delle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro, il Legislatore nostrano ha definito i principi di informazione (al lavoratore) delle condizioni contrattuali applicate o applicabili al proprio rapporto.
Con il Decreto Legislativo n. 152 del 26 maggio 1997, più volte richiamato anche da successivi interventi normativi, si è voluto dar seguito operativo a quell’obbligo di informazione (art. 1) che, pur banale, fino a quel momento era stato sotteso alla buona creanza delle parti contrattuali.
Ovviamente, passati due decenni dalla pubblicazione del Decreto, alcuni aspetti hanno gioco-forza subito il diverso declinare da parte di altre disposizioni intersecantisi per la singola peculiarità del rapporto di lavoro (pensiamo alle clausole obbligatorie in materia di contratto a termine, a tempo parziale, in regime di apprendistato, etc.)
Oggi il datore di lavoro (pubblico e privato) è tenuto a fornire al lavoratore, all’atto dell’assunzione le seguenti informazioni:
a) l’identità delle parti;
b) il luogo di lavoro; in mancanza di un luogo di lavoro fisso o predominante, l’indicazione che il lavoratore è occupato in luoghi diversi, nonché la sede o il domicilio del datore di lavoro (sull’argomento richiamo un mio precedente intervento);
c) la data di inizio del rapporto di lavoro;
d) la durata del rapporto di lavoro, precisando se si tratta di rapporto di lavoro a tempo determinato o indeterminato;
e) la durata del periodo di prova se previsto;
f) l’inquadramento, il livello e la qualifica attribuiti al lavoratore, oppure le caratteristiche o la descrizione sommaria del lavoro (richiamo, per questo, l’intervento del Collega Licari);
g) l’importo iniziale della retribuzione ed i relativi elementi costitutivi;
h) la durata delle ferie retribuite cui ha diritto il lavoratore o le modalità di determinazione e di fruizione delle stesse;
i) l’orario di lavoro;
j) i termini del preavviso in caso di recesso.
L’obbligo di cui sopra può essere assolto con evidenza nel contratto di lavoro scritto ovvero nella lettera di assunzione (da considerarsi sinonimi nel linguaggio comune) o in ogni altro documento scritto come, ad esempio, copia della comunicazione di assunzione preventiva trasmessa al Centro per l’impiego – UNILAV (art. 40, c. 2, D.L. 112/2008, convertito in L. 133/2008; Min. lav., circ. 21.8.2008, n. 20).
Le informazioni circa le indicazioni di cui alle lettere e), g), h), i) ed l), possono essere comunicate mediante il rinvio, in lettera di assunzione, alle norme del contratto collettivo applicato al lavoratore.
L’articolo 3 del Decreto, definisce anche i termini di comunicazione in caso di modifica degli elementi del contratto di lavoro dopo l’assunzione. Il datore di lavoro deve, infatti, comunicare per iscritto al lavoratore, entro un mese dall’adozione, qualsiasi modifica degli elementi di cui agli articoli 1 e 2 del Decreto che non derivi direttamente da disposizioni legislative o regolamentari, ovvero dalle clausole del contratto collettivo cui si è fatto riferimento ai sensi degli articoli 1, comma 4, e 2, comma 2.
Ribadiamo – è bene farlo – che parliamo di obblighi di “comunicazione” e non di prova delle pattuizioni raggiunte; si pensi, ad esempio, all’accordo di trasformazione di un rapporto a tempo pieno in un rapporto a tempo parziale oppure di modificazioni ex art. 2103 c.c. in materia di mansioni (richiamo nuovamente l’intervento del già citato collega).
Anche con riferimento alle prestazioni di lavoro all’estero, le informazioni essenziali di cui sopra (art. 1, c. 1, D.Lgs. 152/97) sono fornite al lavoratore invitato a svolgere la sua prestazione lavorativa all’estero per un periodo superiore a trenta giorni, prima della partenza e comunque non oltre la scadenza del termine di trenta giorni, in aggiunta alle seguenti ulteriori informazioni:
a) la durata del lavoro da effettuare all’estero;
b) la valuta in cui verrà corrisposta la retribuzione;
c) gli eventuali vantaggi in danaro o in natura collegati allo svolgimento della prestazione lavorativa all’estero (benefits, indennità, etc.);
d) le eventuali condizioni del rimpatrio del lavoratore.
L’informazione, per i punti d’interesse, può essere effettuata mediante rinvio alle norme del contratto collettivo applicato al lavoratore.
Invece, gli obblighi di comunicazione previsti dal Decreto non troverebbero applicazione, tra gli altri casi (art. 5):
- per i rapporti di lavoro di durata complessiva non superiore ad un mese e il cui orario non superi le otto ore settimanali;
- nei confronti del coniuge, dei parenti e degli affini, non oltre il terzo grado, del datore di lavoro con lui conviventi,
anche se, ad oggi, non risulta chiaro se tali esenzioni risultino ancora applicabili in funzione di quanto disposto dall’art. 40 c. 2, D.L. 112/2008 (L. 133/2008) il quale prevede che all’atto della assunzione, prima dell’inizio della attività di lavoro, il datore di lavoro, è tenuto a consegnare al lavoratore una copia della comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro oppure, sempre prima dell’inizio della attività lavorativa, una copia del contratto individuale di lavoro che contenga anche tutte le informazioni previste dal decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152 nulla richiamando alle citate deroghe.
Forse quest’intervento tecnico potrà sembrare ai più quasi pleonastico visto che, come accennato, ormai ogni singola norma speciale prevede oneri ad probationem di gran parte delle clausole contrattuali; teniamo però presente che esistono ancora situazioni di “ignoranza” (Treccani: “l’ignorare determinate cose, per non essersene mai occupato o per non averne avuto notizia”) che forse varrebbe la pena di sanare prima che il lavoratore – nel rispetto del proprio diritto di informazione – richiami l’intervento, magari in sede di Conciliazione Monocratica (art. 11 D.Lgs. 124/2004), dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.
Infatti, da una leggerezza, magari figlia dei tempi ristretti nei quali siamo soliti muoverci noi addetti ai lavori, potrebbe derivare il rischio di un intervento ispettivo a norma del comma 5 dell’appena citato art. 11 che prevede, “(…)nella ipotesi di mancato accordo ovvero di assenza di una o di entrambe le parti convocate, attestata da apposito verbale(…)”, l’automatismo degli accertamenti ispettivi da parte dell’Organo di Vigilanza.
Voglio chiudere, approfittando sempre di Treccani (non me ne vogliate), con la letterale descrizione del significato di “informare”: [dal lat. informare «dar forma», «istruire», e quindi «dare notizia»] (io infórmo, ecc.). – 1. letter. a. Dotare di forma, conferire a un essere la sua propria forma o natura, e in partic. dotare di vita, di moto (….)
Consigliamo, quindi, ai nostri Clienti di dare forma e vita ai rapporti di lavoro!
SI PUO’ FARE!
cit. Frankenstein Junior.
Luca Bianchin
Consulente del lavoro